Prima mostra di architettura e urbanistica della Facoltà di Ingegneria di Catania

Prima mostra di architettura e urbanistica della Facoltà di Ingegneria di Catania

La mostra è concepita come ideale continuazione della Mostra "La città del sole" tenutasi a Catania nel 1945. Nel discorso inaugurale, avvenuto l'11 marzo 1978, Franco Marescotti così si esprime: 

"Trentatré anni or sono, e cioè il 15 aprile 1945, venne inaugurata in questi stessi locali, la prima “Mostra dei problemi della ricostruzione” intitolata, in omaggio a T. Campanella “LA CITTÀ DEL SOLE”
Chi vi parla in questo momento, ne fu l’ideatore e sognò ben altro destino che non quello di ritornare oggi, sugli stessi problemi di allora, quasi che tanti anni ad altro non fossero serviti che ad inasprire gli stessi elementi di contrasto, le stesse contraddizioni, le stesse unilaterali e frammentarie visioni di una realtà che è ancora in grandissima parte da conoscere nella sua umana sostanza e scoprire nella realtà sociale dei suoi molteplici rapporti.
Quella realtà che oggi, come genesi e palingenesi ha suggerito questa iniziativa destinata a porre su di un piano di reciproca conoscenza e collaborazione l’Università come produttrice di cultura e gli abitanti di questa città intesi nella dialettica delle loro componenti politiche e nella sostanza di una valida amministrazione del territorio da ottenersi attraverso la diretta partecipazione di tutte le componenti sociali e produttive.

Dire che questo rapporto, o scambio se volete, sia stato e sia del tutto inesistente lo ritengo più che superfluo tanto evidente è l’isolamento in cui sono costrette le due forze componenti e tanta l’incomprensione che ne nasce ogniqualvolta i problemi di vita e di sviluppo in esse congeniali urtano con la loro umana realtà contro l’incompetenza e sovente i particolari interessi di coloro che dovrebbero essere più attenti e soprattutto partecipi dei bisogni della collettività.
È sufficiente muoversi nell’ambito dell’agglomerato cittadino e delle zone marginali a confine con la campagna e il mare per afferrare in tutta la sua massiccia sostanza la devastazione, o per meglio dire il massacro, che è stato compiuto contro le naturali bellezze e, quel che più conta, sulla pelle dei cittadini tutti costretti a vivere entro abitazioni che consentono al massimo la sola sopravvivenza, e a mandare i loro figli a scuola entro strutture scolastiche di fortuna o vecchi e nuovi edifici che ben poco hanno a che vedere con le moderne pedagogie dell’infanzia.

Su questi due temi, casa e scuola, è impostata la Mostra; che costituiscono con quelli relativi al lavoro, l’assistenza e la ricreazione un unico contesto interdipendente nei suoi elementi componenti in quanto risolverne uno di essi non significa affatto risolvere il problema; in altre parole una casa sana e a buon mercato (che non è un prodotto normale dell’economia capitalistica) non può sussistere da sola senza che non vengano risolte le altre componenti del reddito della famiglia, dell’educazione dei figli, e dell’assistenza sanitaria ivi compresa l’attività psico-fisica di tutti i suoi componenti.
Non a caso Chombart De Lauve osservava che il tipo più ricorrente dell’abitazione è di taglio sbagliato, non consente né l’isolamento né comunicazione, è prefabbricata per un uomo anonimo, pensato sui tecnigrafi degli Ingegneri e Architetti e ha quasi mai corrispondenza con i bisogni della vita.
Osservazione di cui tutti i cittadini possono essere partecipi e che si esprime nella realtà dei manufatti edilizi che deturpano il territorio, progettati e costruiti come scatole di imballaggio forate da buchi anonimi e decorati con insulsi balconcini dei quali non si riesce a comprendere a quale funzione siano destinati dato che non vedi mai nessuna persona sostare su di essi.
Che tutta questa miseria progettuale abbiam una sua rispondenza economica con rendita parassitaria di posizione dei terreni edificabili che pone limiti a ogni innovazione lo sappiamo da epoca immemorabile, ma sappiamo anche che tale remora può essere resa inoffensiva al momento stesso in cui sul piatto della bilancia della nostra esistenza facciano pesare il diritto alla vita contro chi la nega, la libertà di essere nella piena consapevolezza del nostro presente e divenire, il diritto di costruire le nostre case e città con la piena partecipazione di tutti i cittadini.

Progettare significa sapere per CHI progettare, DOVE, con QUALI MEZZI e in QUANTO TEMPO per avere case del TIPO GIUSTO nel posto GIUSTO, dal costo GIUSTO, nel momento GIUSTO.
E aggiungiamo ancora che coloro che saranno chiamati a risolvere la CASA PER TUTTI non dovranno per nessuna ragione dimenticare che la produzione e distribuzione delle abitazioni costituisce un unico fatto economico, e che tale problema è inscindibile da quello del lavoro per tutti, della sicurezza sociale per tutti, della educazione per tutti.

Altrettanto può dirsi per la scuola giunta oggi al periodo più oscuro della sua storia, chiusa come è nella difesa di arcaici interessi e di superare strutture ben lontane da quel rinnovamento che i rapporti di massa hanno posto come esigenze primarie di rottura, e certamente assente da quel rapporto di CULTURA-VITA che è alla base di ogni concezione democratica dell’esistenza sia come singolo che collettività.
La Mostra apre un dialogo su questo tema, pur limitando il suo interesse sui problemi relativi alla infanzia e ricordando come atto di riconoscente omaggio le parole dell’antica massima cinese.
se pensi all’oggi mangia un pane
se pensi al domani pianta un albero
se pensi al futuro educa un bambino

È chiaro che non vogliamo una scuola vecchia e autoritaria in cui il bambino è oggetto di educazione, ma una scuola alternativa, democratica e socializzante in cui esso sia sostanzialmente “soggetto”.
Non vogliamo una scuola attraverso cui passa una cultura “manipolatrice” della vita che per il fatto di vietare ogni socializzazione costituisce violenza alla sua libertà e maturazione, ma una scuola che parta dalle condizioni reali di vita del bambino ed elabori cultura stimolandolo e aiutandolo a scoprire il proprio ruolo all’interno del gruppo.
Ciò comporta dal punto di vista progettuale il rifiuto di una scuola non rispondente funzionalmente alle esigenze di una moderna didattica, monolitica nella organizzazione degli spazi, bloccata dal cemento o da una pseudo-prefabbricazione, priva di insolazione e spazi verde, quel che più conta, adattata in sedi di fortuna.
L’accettazione in suo luogo, di una scuola progettata in modo di soddisfare l’esigenza di educazione alla libertà e socializzazione del bambino, polifunzionale nell’organizzazione degli spazi, strutturalmente libera nei rapporti fra interno ed esterno, organizzata sul corso del sole, immersa nella natura.

Scuola e abitazione possono pertanto coesistere nel termine unico di “casa” in quanto entrambe presentano gli stessi aspetti negativi mentre pongono con urgenza il loro problema di rinnovamento in una società parzialmente industrializzata e consumistica.
Diceva Owen nel 1816 “da molto tempo osservo le attenzioni prodigate alla macchina morta e la mancanza di rispetto verso la macchina viva”.
A più di un secolo di distanza il problema si presenta con le stesse caratteristiche mentre sul piano culturale proposte e soluzioni sono state accantonate classificandole, o per meglio dire, confinandole nel regno dell’utopia.

Eppure è necessario che questa società oltre che comprendere senta in tutta la sua importanza umana e sociale questi assillanti problemi, li senta nei loro imperativi economici, nella loro enorme forza regolatrice e nel loro profondo valore etico, e ritrovi in questa epoca di totale smarrimento quella forza costruttiva che da troppo tempo è assente dal suo multiforme organismo.
Il problema della casa è determinante di tutta la città, è problema centrale e non periferico, investe il generale e non il particolare.
La città è una casa per uno e infiniti uomini"